martedì 6 marzo 2012

Perché non ce la faranno


Stavo giusto pensando a una cosa.

Poniamo che il sottoscritto si fosse trovato a scappare con la polizia alle calcagna. Mi è capitato, a dire il vero; l'ultima volta a Bologna, qualche tempo fa, durante una manifestazione contro un CPT. Curiosamente, se mi ricordo bene, credo fosse proprio un 6 di marzo, del 2006 o 2007. L'ultima volta che ho preso una bella fratta di manganellate, perché scappa scappa mi hanno beccato. Dev'essere stato il mio "canto del cigno", perché mi ricordo che quella sera avevo proprio preso una bella corsa, veloce il giusto; nulla da fare. Loro erano comunque più veloci. Li avete mai assaggiati i manganelli? Fanno male. Ma parecchio. Mi presero alle gambe, e me le ridussero a un concio da portarmi a braccia, poi; per fortuna non mi fermarono. Una volta su un autobus, dove salii retto da tre persone tirando dei moccoli che sembrava i' giorno di' gastigo, un amorevole Oreste Scalzone, che era casualmente sullo stesso autobus perché partecipava alla manifestazione poco dopo che era potuto rientrare in Italia, mi consigliò con gentilezza davvero paterna (e, purtroppo, con molta esperienza) di utilizzare il manganese per le botte. Dal manganello al manganese, risposi piegato in due, suscitando non poche risate.

Poniamola questa cosa, perché mi sono immaginato il 27 febbraio scorso, così per traslato onirico, a dover scappare io lassù in Valsusa alla baita Clarea. Ora come ora, alla baita Clarea non sarei capace nemmeno di metterci piede; vabbè che ho fatto la riabilitazione cardiaca, però la funzionalità intera sarà ben difficile che la recuperi. E, comunque, penso che a scorrazzare su e giù per quei posti avrebbero difficoltà parecchi. 'A sarà düra sí, ma non solo düra. 'A sarà parecchio in salita, anche. Insomma, per farla breve: non soltanto un mezzo catorcio come sono attualmente, ma anche molti che catorci non sono su quel traliccio, lassù, non ci avrebbero manco messo piede. Non lo avrebbero raggiunto, oppure si sarebbero fermati al primo passo. Luca Abbà, invece, è andato su come un acrobata; e non è soltanto questione di agilità, ma anche di muscoli. Porca puttana, quanti. Non so se vi rendete bene conto. Luca è andato su come fosse uno scherzetto, e dietro non ci aveva mica uno qualsiasi: ci aveva uno del Nucleo Rocciatori della polizia.

Ora immaginatevi voi tutti, anche quelli che magari sarebbero capaci di scalare un traliccio, di pigliare sul groppone una scoppola da scaraventomila volt da un cavo dall'alta tensione. Da rimanere inceneriti all'istante. Luca Abbà, salito sul traliccio col rocciatore a mordergli il culo, l'ha presa. Non è rimasto incenerito. E' soltanto, ma che sarà mai, cascato giù da una quindicina di metri. Persone mediamente normali sarebbero prima morte per la scossa, e sarebbe caduto giù un cadavere abbrustolito; Luca Abbà è caduto giù, invece, da Luca Abbà. E' caduto giù vivo, carne viva che lo rimane a dispetto di tutto, carne forte abituata a non cedere. Lo aveva del resto già detto all'esangue piddino Esposito, in risposta a un consueto blaterare di quest'ultimo; lo aveva invitato a arrivare in fondo vivo a una sua qualsiasi giornata di lavoro. Perché Luca Abbà vive del suo durissimo lavoro di contadino. Di coltivatore della montagna. Effettivamente, mi divertirei parecchio nel vedere un Esposito alle prese davvero con la Valsusa; ma uno del genere non sarebbe buono nemmeno come mangime per i maiali.

E' caduto giù vivo, Luca Abbà, e vivo è rimasto. Sopravvivendo a delle cose che avrebbero ammazzato tranquillamente chiunque. Fuori pericolo dopo dieci giorni, e saperlo fuori pericolo non deve soltanto riempire di gioia: deve far pensare molto. E deve infondere coraggio e forza anche in chi non potrà mai salire su nessun traliccio, anche in chi lotta coi mezzi che gli sono permessi dalle proprie condizioni; lo stesso coraggio infuso dalle incredibili "nonne" valsusine, che non a caso incorrono nelle stesse manganellate e nella stessa repressione nonostante le letterine commoventi di Repubblica.

Provate, proviamo a immaginarci Belpietro o Sallusti che salgono sul traliccio quando, un giorno, saranno inseguiti da un bel po' di gente desiderosa di fargliela pagare ammodino; proviamo a immaginarli mentre annaspano sulla prima sbarra del traliccio, mentre qualcuno urla loro "Su, forza, ora arrampicatevi, cretinetti!". Proviamo a immaginarli, quei due mentecatti a pagamento, mentre pigliano una bordata da ventimila volt o quant'erano; incredibilmente, però, continuerebbe a percepirsi all'intorno una gran puzza di merda, e non di arrostino. Proviamo a immaginarli, infine, cadere giù come sacchi di patate, ma patate parecchio andate a male. Infine proviamo a immaginarci Luca Abbà, perché uno come lui non riderebbe affatto. Uno come Luca avrebbe troppo rispetto per la vita, per gioire persino della morte di un paio di merde.

Ed ecco, in sintesi, perché non ce la faranno.
Perché la forza di una lotta si misura in questo, anche in questo.
Perché ne avranno da mandar su, di pecorelle armate.
Perché ne avranno da far sbavare, di vegliardi presidenziali non competenti per i quali sarebbe sufficiente la scossa di una pila stilo per mandarli al creatore.
Perché quando si sa per che cosa e per chi si combatte, e non si è disposti a cedere, si vince.
Luca, grazie.
E grazie a tutti quelli e quelle come te.
No pasarán!